“Io non ci sto ad aiutare le banche. Paga in contanti”. È la scritta che campeggia sulla locandina dell’associazione “Ristoratori Veneto & Ho.Re.Ca” nata per tutelare gli operatori del settore e che sull’obbligo di accettare i pagamenti Pos ha una posizione inequivocabile. Non da oggi. Anzi, “è una battaglia che combattiamo da un anno e mezzo” ci racconta Alessia Brescia, che dell’associazione è presidente e portavoce (oltre ad essere titolare di una trattoria).
Perché gli esercenti, o almeno una parte di loro, contestano i pagamenti cashless?
Intanto per il peso delle commissioni, ancora troppo alto, ma non solo. “Prendiamo il costo di un caffè” dice Brescia. “Se a un incasso di 1 euro e 30 togliamo i costi di gestione, le spese della transazione,considerando tutto ciò, argomenta la ristoratrice, all’esercente non restano neanche trenta centesimi, una somma che non basta a coprire neppure il costo materiale del caffè, zucchero, tovaglioli ecc”. E poi “ci sono le spese fisse per il canone del Pos (che però non sempre sono previste, ndr), e il tempo”.
In che senso il tempo?
“Le faccio l’esempio di un tavolo da venti persone al ristorante. Se queste venti persone vogliono venti conti separati, io devo fare venti scontrini, altri 20 per il pagamento con la carta, totale 40, se in doppia copia, 60. Mettiamoci anche il fatto che non sempre la transazione va a buon fine… a volte la transazione bisogna ripeterla più volte, servirebbe una persona che stia fissa in cassa, ma non tutti possono permettersela. Specie chi ha un’attività a conduzione familiare”.
Torniamo sulle commissioni. In media costano l’1-1,5% sul transato. Su un acquisto di 50 euro, ad esempio, un commerciante paga dai 50 agli 80 centesimi. È davvero una spesa così insostenibile?
“Intanto a pagare siamo sempre noi. E poi sono costi che si sommano a quelli ordinari. La nostra categoria è allo stremo da tre anni. Sono aumentate le materie prime. Se noi applicassimo i rincari che subiamo un caffè arriverebbe a costare 40 o 50 centesimi in più, un piatto di pasta dovrei farlo pagare venti euro. Ma non lo stiamo facendo o comunque cerchiamo di barcamenarci. È molto facile: bisognerebbe aiutare gli imprenditori a lavorare in modo più sereno, più fluido. Non diciamo no a tutto per partito preso, ma tra canone, transazioni e servizi ogni costo ricade su di noi”.Del resto sono tutti servizi privati e si pagano, se venissero messi a carico del cliente sono sicura che i pagamenti elettronici diminuirebbero esponenzialmente.
Meloni però ha detto che cancellarle sarebbe incostituzionale….
“Sì, l’ho letto, ma senz’altro si potrebbero ridurre. E poi voglio dire una cosa: il Pos non deve essere un obbligo. Questa parola vige ormai sovrana da molti anni (l’associazione si è schierata anche contro il green pass, ndr) e dovrebbe essere abolita. C’è stata davvero una guerra tra poveri. Quante notizie sono uscite di clienti che hanno chiamato la finanza perché l’esercente non accettava il bancomat per un caffè? Io ne ho lette diverse. È questo che non va bene”.
E quella locandina sulle banche?
“Abbiamo fatto una campagna di sensibilizzazione, ma non imponiamo nulla ai nostri iscritti. Il nostro comparto è vessato da anni, anche dai giornali. A volte si leggono titoli fuorvianti”.
In che senso?
“Quando è entrato in vigore l’obbligo per gli esercenti di accettare i pagamenti col Pos, mi sono accorta che molte persone avevano capito male. Ne ho di esempi da fare, molti clienti erano convinti di non poter pagare più in contanti. E poi siamo stati additati come evasori totali. Ma il fatto che noi incitiamo a pagare con la carta moneta non significa che siamo a favore di chi evade le tasse”.Però sarà d’accordo che i pagamenti tracciabili sono un freno all’evasione. “Assolutamente no, bisognerebbe chiedere alle multinazionali, non è il piccolo commerciante che causa un buco nero di miliardi nel bilancio”.